Inaugurazione PAUSA Cafè
Questa sera, come tante altre, sono davanti al pc e guardo le
foto per il mio prossimo articolo, l’inaugurazione del locale da poco
riaperto dal Maestro del Gusto la Cooperativa Sociale Pausa Cafè.
Mentre scorrono le immagini, si illumina il telefono, una notifica è appena
arrivata, ho appena ricevuto un e-mail.
Curiosa, la apro per leggerla e sono quasi folgorata da quanto sia
bella, quanto sia vera e reale, piena di speranza..
L’e-mail mi riporta immediatamente a quella serata dell’inaugurazione,
tante belle emozioni mi ritornano in mente, mentre registravo e fotografavo per
immortalare la serata.
In quella serata erano presenti all’evento il Dott. Marco Ferrero
Presidente della Cooperativa Sociale, con lui hanno partecipato il direttore
del Carcere di Saluzzo, il direttore della Coop per la distribuzione dei prodotti
della cooperativa, oltre ai tanti curiosi che hanno affollato il
locale per poter gustare ottime birre, pizze, oltre a dei buonissimi
pasticcini.
Ricordo che ero rimasta molto colpita da quanto si era detto dalla
presentazione alla Manifestazione, il fatto che
esistano ancora delle attività che si occupano di ridare
speranza e di riabilitare le persone, questo mi sembra una cosa
bellissima ed utile alla Società.
Io sono Stefano e sono
un birraio.
Detta così, è una frase
semplice, diretta. Un modo lineare per presentarsi.
Se, però, la metto in relazione al mio vissuto diventa, allo stesso tempo
l’estrema
sintesi di un percorso di vita e un
profondo baratro che mi separa dal mio passato.
Perché, è vero, sono un
birraio, ma sono anche un detenuto.
Sono stato il primo assunto dalla cooperativa
sociale Pausa Cafè, al momento del
lancio del progetto birrificio all’interno del carcere
di Saluzzo.
Ero stato segnalato alla
cooperativa dalla direzione dell’istituto, insieme ad altri
compagni di detenzione, come uno
dei possibili lavoratori e, dopo un paio di colloqui,
tutto iniziò.
Ricordo il primo giorno
come fosse ieri.
Era il 22 ottobre del
2008 e si doveva fare la cotta di prova per ottenere la licenza
dall’agenzia delle
dogane.
Non avevo idea di cosa fosse la birra artigianale, né avevo mai visto un
birrificio.
Quel giorno il nostro
era sottosopra, con l’impianto elettrico ancora da terminare e
una bombola del gas
attaccata al generatore di vapore, ma per me tutto era
bellissimo.
I colori pastello alle pareti erano una novità, abituato alla grigia
monotonia del
reparto detentivo.
Il paragone con i
monasteri trappisti, proposto fin dall'inizio da Andrea, il nostro
mastro,sembrava una vera
assurdità: "in entrambi i casi sono state fatte delle scelte
estreme - erano le sue parole - e
a me non interessa giudicare né quella dei monaci,
né la tua!" altro che assurdità, la
prima lezione di vita...
In questi anni ne ho
ricevuto molte altre e, insieme ad altri compagni che si sono
aggregati in seguito, il
birrificio è diventato un piccolo spazio di libertà e crescita
individuale all'interno
di una struttura che, senza voler polemizzare, non prevede né
l'una, né l'altra.
Abbiamo imparato a
lavorare con senso di responsabilità verso noi stessi, prima
ancora che verso la cooperativa
e questo ha accresciuto in noi la consapevolezza,
ha prodotto buona coscienza e in un
secondo momento, si spera, buona birra.
Una vera rivoluzione,
nel modo di concepire se stessi.
L'attenzione verso ogni
particolare di lavoro, la cura delle piccole cose, l'impegno
costante verso ciò che si fa,
insomma tutto ciò che può sembrare normale, all'interno
di una struttura detentiva,
sono stati gli strumenti per lavorare su noi stessi, per
questo la produttività in senso
stretto non è mai stata un assillo.
Abbiamo avuto tutto il
tempo necessario per curare le relazioni, esempio ne è lo
sviluppo della ricetta della
nostra birra di Natale: riuniti attorno al tavolo, ognuno
propose qualcosa che gli ricordasse le
feste; dal rosso del vestito di Santa Klaus, al
cedro candito, dall'uva sultanina al
melograno...
Solo in un secondo tempo
abbiamo scoperto che erano tutti simboli di prosperità e
bene augurali ...
Qualche mese dopo, il 24
dicembre, con un panettone al cioccolato e un bicchiere di
Navidad, festeggiavamo
la nostra prima birra condivisa, emozionati e non ancora
pienamente coscienti di
aver realizzato qualcosa di positivo.
Siamo andati oltre
questa prima esperienza: dopo aver imparato il mestiere di
birraio, lo scorso anno grazie ad un
progetto di formazione peer to peer, c'è stata la
possibilità di inserire in birrificio
tre nuovi colleghi, di cui sono stato il tutor a tutti gli
effetti.
Una seconda rivoluzione nel
modo di concepire il rapporto tra le persone ristrette:
normalmente dire ad un
altro detenuto cosa deve o non deve fare viene preso come
un atto di prevaricazione
e, facilmente, genera tensioni inutili.
Insieme, siamo riusciti
a cambiare il nostro modo di essere, non più competitivo ma
collaborativo: io ho
imparato a comunicare ai miei colleghi in termini di costante
confronto e loro hanno messo da
parte la paura di sentirsi prevaricati o sopraffatti.
Questo, per me, è ancor
oggi fare birra: continuare a produrre qualcosa di positivo,
qualcosa che parla di
me, dell'uomo che sono.
È innegabile che ci sia
un senso di rivalsa, il desiderio di far sapere che anche
dentro un carcere possono nascere cose
buone: incontrare persone durante le fiere,
raccontare ciò che stai facendo loro
degustare, vedere lo stupore nei loro occhi
quando dici che sei un detenuto e che quella
birra é stata fatta dentro un carcere...
Impagabile!
All'inizio della nostra
esperienza, un giornalista, raccogliendo le nostre emozioni in
un libro che parlava dell'antico
sapere artigiano, ci aveva dedicato una parte,
intitolandola "La Birra Dentro": trovammo
quel titolo la sintesi estrema del progetto e
così tanto evocativa da riportarla anche su uno
striscione che ci ha accompagnato
per qualche anno nelle fiere.
La birra dentro... Dice
tutto di noi, delle nostre storie dentro ad un carcere, ma anche
di tutta la passione che ci
portiamo dentro.
Ho sempre pensato a
questo avverbio in termini inclusivi e non esclusivi.
Per questo, oggi, dopo
sette anni dall'inizio di questa avventura che ha fatto di me il
birraio di Pausa Cafè,
il mio grazie va a chi mi ha insegnato quanto so di birra (anzi
delle birre) e mi ha
accompagnato alla scoperta di me stesso, ad una persona che
dentro non ha solo la birra, ma
molto, molto di più! Ciao Andrea!
Se, però, la metto in relazione al mio vissuto diventa, allo stesso tempo l’estrema
Non avevo idea di cosa fosse la birra artigianale, né avevo mai visto un birrificio.
I colori pastello alle pareti erano una novità, abituato alla grigia monotonia del
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