Inaugurazione PAUSA Cafè



Questa sera, come tante altre, sono davanti al pc e guardo le foto per il mio prossimo articolo, l’inaugurazione del locale da poco riaperto dal Maestro del Gusto la Cooperativa Sociale Pausa Cafè.
Mentre scorrono le immagini, si illumina il telefono, una notifica è appena arrivata, ho appena ricevuto un e-mail.
Curiosa, la apro per leggerla  e sono quasi folgorata da quanto sia bella, quanto sia vera e reale, piena di speranza..
L’e-mail mi riporta immediatamente a quella serata dell’inaugurazione, tante belle emozioni mi ritornano in mente, mentre registravo e fotografavo per immortalare la serata. 
In quella serata  erano presenti all’evento il Dott. Marco Ferrero Presidente della Cooperativa Sociale, con lui hanno partecipato il direttore del Carcere di Saluzzo, il direttore della Coop per la distribuzione dei prodotti della cooperativa, oltre ai  tanti  curiosi che hanno affollato il locale per poter gustare ottime birre, pizze, oltre a dei buonissimi pasticcini.
Ricordo che ero rimasta molto colpita da quanto si era detto dalla presentazione alla Manifestazione,  il fatto che esistano ancora  delle attività che si occupano di ridare speranza e di riabilitare le persone, questo mi sembra una cosa bellissima ed utile alla Società.
Per quell’occasione erano anche  intervenuti come parte attiva, alcuni titolari delle piantagioni di caffè e di cacao che erano in visita per il Salone del Gusto e Terra Madre; ai festeggiamenti erano presenti anche dei musicisti, i "Lou Dalfin", che con musica, balli e canti hanno movimentato la serata.
Tutti  i partecipanti hanno il fine comune di collaborare a un progetto comune, riabilitare e ridare speranza a delle persone, che essi siano i lavoranti della piantagione di caffè o di cacao o i detenuti del carcere.. 
Rileggo ora la lettera, la persona che mi scrive è un detenuto che a breve avrà terminato la sua pena e sarà libero e  non riesco a distogliere l’attenzione, per quello che vi è scritto, quanta emozione, quanta speranza e  voglia di riuscire di riavere una vita nuova, una vita libera, nel giusto…
Non mi rimane che pubblicare  alcune  foto di quella serata toccante con la sua testimonianza che la vita può veramente cambiare in meglio …

Io sono Stefano e sono un birraio.

Detta così, è una frase semplice, diretta. Un modo lineare per presentarsi. 

Se, però, la metto in relazione al mio vissuto diventa, allo stesso tempo l’estrema 

sintesi di un percorso di vita e un profondo baratro che mi separa dal mio passato.

Perché, è vero, sono un birraio, ma sono anche un detenuto. 

Sono stato il primo assunto dalla cooperativa sociale Pausa Cafè, al momento del 

lancio del progetto birrificio all’interno del carcere di Saluzzo.

Ero stato segnalato alla cooperativa dalla direzione dell’istituto, insieme ad altri 

compagni di detenzione, come uno dei possibili lavoratori e, dopo un paio di colloqui,

tutto iniziò.

Ricordo il primo giorno come fosse ieri.

Era il 22 ottobre del 2008 e si doveva fare la cotta di prova per ottenere la licenza

dall’agenzia delle dogane. 

Non avevo idea di cosa fosse la birra artigianale, né avevo mai visto un birrificio.

Quel giorno il nostro era sottosopra, con l’impianto elettrico ancora da terminare e 

una bombola del gas attaccata al generatore di vapore, ma per me tutto era 

bellissimo. 

I colori pastello alle pareti erano una novità, abituato alla grigia monotonia del 

reparto detentivo.

Il paragone con i monasteri trappisti, proposto fin dall'inizio da Andrea, il nostro 

mastro,sembrava una vera assurdità: "in entrambi i casi sono state fatte delle scelte 

estreme - erano le sue parole - e a me non interessa giudicare né quella dei monaci, 

né la tua!" altro che assurdità, la prima lezione di vita...

In questi anni ne ho ricevuto molte altre e, insieme ad altri compagni che si sono

aggregati in seguito, il birrificio è diventato un piccolo spazio di libertà e crescita

individuale all'interno di una struttura che, senza voler polemizzare, non prevede né  

l'una, né l'altra.

Abbiamo imparato a lavorare con senso di responsabilità verso noi stessi, prima 

ancora che verso la cooperativa e questo ha accresciuto in noi la consapevolezza, 

ha prodotto buona coscienza e in un secondo momento, si spera, buona birra.

Una vera rivoluzione, nel modo di concepire se stessi.

L'attenzione verso ogni particolare di lavoro, la cura delle piccole cose, l'impegno 

costante verso ciò che si fa, insomma tutto ciò che può sembrare normale, all'interno

di una struttura detentiva, sono stati gli strumenti per lavorare su noi stessi, per 

questo la produttività in senso stretto non è mai stata un assillo.

Abbiamo avuto tutto il tempo necessario per curare le relazioni, esempio ne è lo 

sviluppo della ricetta della nostra birra di Natale: riuniti attorno al tavolo, ognuno 

propose qualcosa che gli ricordasse le feste; dal rosso del vestito di Santa Klaus, al 

cedro candito, dall'uva sultanina al melograno...

Solo in un secondo tempo abbiamo scoperto che erano tutti simboli di prosperità e 

bene augurali ...

Qualche mese dopo, il 24 dicembre, con un panettone al cioccolato e un bicchiere di

Navidad, festeggiavamo la nostra prima birra condivisa, emozionati e non ancora

pienamente coscienti di aver realizzato qualcosa di positivo.

Siamo andati oltre questa prima esperienza: dopo aver imparato il mestiere di 

birraio, lo scorso anno grazie ad un progetto di formazione peer to peer, c'è stata la 

possibilità di inserire in birrificio tre nuovi colleghi, di cui sono stato il tutor a tutti gli 

effetti. 

Una seconda rivoluzione nel modo di concepire il rapporto tra le persone ristrette:

normalmente dire ad un altro detenuto cosa deve o non deve fare viene preso come 

un atto di prevaricazione e, facilmente, genera tensioni inutili.

Insieme, siamo riusciti a cambiare il nostro modo di essere, non più competitivo ma

collaborativo: io ho imparato a comunicare ai miei colleghi in termini di costante 

confronto e loro hanno messo da parte la paura di sentirsi prevaricati o sopraffatti.

Questo, per me, è ancor oggi fare birra: continuare a produrre qualcosa di positivo,

qualcosa che parla di me, dell'uomo che sono.

È innegabile che ci sia un senso di rivalsa, il desiderio di far sapere che anche 

dentro un carcere possono nascere cose buone: incontrare persone durante le fiere, 

raccontare ciò che stai facendo loro degustare, vedere lo stupore nei loro occhi 

quando dici che sei un detenuto e che quella birra é stata fatta dentro un carcere... 

Impagabile!

All'inizio della nostra esperienza, un giornalista, raccogliendo le nostre emozioni in 

un libro che parlava dell'antico sapere artigiano, ci aveva dedicato una parte, 

intitolandola "La Birra Dentro": trovammo quel titolo la sintesi estrema del progetto e 

così tanto evocativa da riportarla anche su uno striscione che ci ha accompagnato 

per qualche anno nelle fiere.

La birra dentro... Dice tutto di noi, delle nostre storie dentro ad un carcere, ma anche 

di tutta la passione che ci portiamo dentro.

Ho sempre pensato a questo avverbio in termini inclusivi e non esclusivi.

Per questo, oggi, dopo sette anni dall'inizio di questa avventura che ha fatto di me il

birraio di Pausa Cafè, il mio grazie va a chi mi ha insegnato quanto so di birra (anzi 

delle birre) e mi ha accompagnato alla scoperta di me stesso, ad una persona che 

dentro non ha solo la birra, ma molto, molto di più! Ciao Andrea!




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